IL Papato Pag.17

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VENTI SECOLI DI PAPATO

L'eresia papale

(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)

"Un gran numero di papi erano (sono) eretici."
Per un cattolico questa frase avrebbe il sapore di una frase ingiuriosa detta da un Protestante. Un papa eretico sembra una "contraddizione in termini", come la quadratura del cerchio.

Il Concilio Vaticano I ha affermato che il papa, senza necessità di consenso della Chiesa, è il giudice infallibile dell'ortodossia. Sembra quindi impensabile che un papa come Giovanni Paolo II possa separarsi dalla verità, e quindi dalla Chiesa, agendo in modo "eretico".
La citazione iniziale non è di un Protestante ma di papa Adriano VI, nel 1523, "Se per Chiesa Romana voi intendete la sua Testa o Pontefice, è fuori di dubbio il fatto che egli possa errare, persino in materia di fede. Egli erra quando insegna l'eresia a proprio giudizio o per decreto. In verità molti pontefici romani erano eretici. L'ultimo di essi fu papa Giovanni XXII° (1316-1334)".

Il tema delle eresie papali e dei papi scomunicati dalla chiesa è assai frequente in teologia, ma scarsamente conosciuto, almeno dal 1870 in poi.

Persino l'imperioso Innocenzo III ammise: "Anche io posso essere giudicato dalla Chiesa per un peccato riguardante argomenti di fede" . Innocenzo IV, sebbene affermasse che ogni creatura gli era soggetta in quanto Vicario del Creatore, nondimeno concedeva che ogni pronunciamento papale che fosse eretico o tendesse a dividere la chiesa non doveva ricevere obbedienza da parte dei fedeli. "Naturalmente" egli sostenne "un papa può errare in materie di fede. E nessuno deve dire:- io credo in questo perchè il papa ci crede-, ma perché la Chiesa ci crede. Se egli seguirà la Chiesa, non commetterà errore."


Nessuno sa per quale ragione queste parole, che apparivano nel testo originale di Innocenzo IV°, "COMMENTARIO SUL DECALOGO", furono soppresse nelle edizioni successive. E' quasi impossibile conoscerne i motivi, visto che un grandissimo numero di papi ha , più o meno, sostenuto le medesime tesi.

Oggi sembra impossibile discutere sull'infallibilità del pontefice. Così grande è l'aura di questi personaggi che i fedeli , almeno pubblicamente, sembrano essersi bevuti il cervello.

In realtà molti pontefici hanno sbagliato sia in materia di fede, sia privatamente, condizionando il destino dell'intera chiesa. All'origine (e stiamo parlando già del V secolo, perché in precedenza l'uniformità di interpretazione era fuor di logica) la fede era di competenza della Chiesa ed era regolata dai successori degli apostoli, e precisamente dai vescovi. Loro decidevano in materia di fede, soprattutto se riuniti in conclave generale. Un papa che uscisse dalle righe su argomenti di fede, veniva condannato come eretico. San Pietro fece molti errori e così il vescovo di Roma (o papa che dir si voglia). Quando il papa sbagliava la Chiesa aveva tutto il diritto di deporlo. Dopotutto non era mica un oracolo divino.


La preminenza Romana, quando ci fu (e stiamo sempre parlando di V° secolo, e non prima) era di carattere dottrinale (vedi quanto precisato da Ireneo) ed in nessuno caso da collegarsi alla persona del vescovo di Roma/papa. In tutti gli scritti dei Padri greci non esiste una parola relativa alle prorogative del vescovo di Roma e mai nessuno, greco o latino, si sarebbe appellato al vescovo di Roma per ricevere una parola decisiva in una disputa su questioni di fede. Peraltro nessun vescovo di Roma ha mai osato offrire alla Chiesa una parola decisiva in materie teologiche. La frase di Sant'Agostino "Roma locuta est, causa finita est", continuamente citata dagli apologisti cattolici, è l'unica che si ritrova, in dieci ponderosi "in folio", che si riferisca alla primazia romana, ed è citata a sproposito in quanto si riferisce ad un periodo di continue e contrastate riunioni conciliari alle quali Agostino, con quella frase, sperava di dare una temporanea tregua. In molteplici altre occasioni invece non obietta affatto al rigetto dell'opinione papale in merito a controversie battesimali da parte della Chiesa Africana. Anzi sostiene che fosse loro diritto agire così. E malgrado le sue ripetute e continue dispute con i "Donatisti", in nessun caso egli afferma di avere premineza in quanto parte della chiesa romana. Non esisteva un "centro" della Chiesa, in quanto tale.

Nel 434 Vincenzo di Lerins stabilisce i criteri generali della dottrina cattolica, non menzionando MAI il ruolo di Roma o del suo vescovo.

Papa Pelagio (556-60) parla di eretici che si sono separati dalle DIOCESI apostoliche, cioè Roma, gerusalemme, Alessandria e Costantinopoli. Negli scritti dell'epoca non esiste menzione di un ruolo speciale di Roma o del suo vescovo, così come non esiste menzione di un personaggio chiamato "papa" con particolari attribuzioni diverse dagli altri vescovi.

In relazione alle ottanta o novanta eresie verificatesi nei primi sei secoli, nessuno fa mai riferimento all'autorità del vescovo di Roma per dirimere la controversia o decidere sulla questione. Capita che l'episcopato venga attaccato e offeso, ma non l'autorità del vescovo di Roma, "perché NON NE AVEVA.

In occasione di un comportamento eretico da parte del vescovo Bonosius, papa Siricio (384-98) si rifiutò di intervenire sostenendo di non averne il diritto; ed il primo papa che, in qualche modo contorto, sembra per primo appellarsi all'autorità papale è Agato nel 680. E lo fa per una ragione estremamente imbarazzante: il suo predecessore, papa Onorio, era sul punto di essere condannato per eresia dal Concilio Generale (cosa che poi si verificò, come vedremo in seguito).

Papa Liberio (352-66) cercando di risolvere la questione Ariana (Ario riteneva che il Figlio fosse meno importante del Padre) venne spedito in esilio. La condizione per un suo ritorno fu che condannasse pubblicamente Attanasio, campione dell'ortodossia cristiana (che sosteneva che padre e figlio erano sullo stesso piano, come noi oggi), cosa che egli fece immediatamente meritandosi le parole di un grande Padre della Chiesa come Ilario di Poitiers "Anatema su di te, Liberio".


Gregorio Magno affermò che i bambini non battezzati vanno dritti all'inferno e soffrono per l'eternità. Sia Innocenzo I (401-17) sia Gelasio I (492-6) intervennero per iscritto in due Concili (la loro presenza non era né richiesta né necessaria a quanto pare) sostenendo che i bambini , oltre al battesimo, dovevano ricevere anche la comunione, altrimenti sarebbero andati dritti all'inferno.

Vigilius (537-55) , scelto indebitamente come successore da Bonifacio II° (allora i papi venivano scelti dal popolo di Roma, che si incazzava come una bestia quando qualcuno voleva togliergli delle sue prerogative), venne cacciato via prima di essere eletto. Riuscì successivamente ad ottenene la nomina (nell'intervallo c'erano stati Giovanni II, Sant'Agapito e San Silverio), ma venne costretto a raggiungere Giustiniano a Costantinopoli, dove cercarono di convincerlo dell'autorità del Concilio di Calcedonia e ad accettare le interpretazioni religiose dell'imperatore.

Virgilio cambiò la sua opinione tutte le volte che l'imperatore lo decise. Nel 553 Giustiniano convocò il V Concilio Generale, che si riunì a Santa Sofia di Costantinopoli. Di circa 165 vescovi orientali se ne riunirono solo 25. Vigilio mandò le sue scuse, accusando una malattia, ma la sua assenza non fu considerata in alcun modo. Tra le molte altre cose il Concilio decise che Viglio era un eretico e lo scomunicò. Quando il papa venne a conoscenza della propria scomunica, condannò tutti coloro che avevano preso parte alla decisione. Giustiniano si incazzò a morte e, senza indugi o dubbi, lo proscrisse in esilio a Proconneso, un'insenatura rocciosa del Mar della Marmora (allora doveva sembrare una sorte terribile:lontano dalla civiltà, dalle feste, dai conviti, etc.etc.; adesso ci andremmo tutti in vacanza). Solo e derelitto, Vigilio, quando gli giunse notizia di una prossima possibile elezione di un nuovo papa a Roma, chiese umilmente perdono (con lettera dell'8 dicembre 553, indirizzata al Patriarca di Costantinopoli), dichiarando di essere stato diabolicamente "influenzato" e di accettare quindi tutte le decisioni del V Concilio, con la loro impostazione teologica ed interpretazione della divinità. Ricevuto dall'imperatore il permesso di tornare a casa, soltanto la morte che lo colpì sulla strada del ritorno, a Siracusa il 7 giugno 555, lo salvò (si fa per dire) dal linciaggio che lo aspettava a Roma , da parte dei suoi fedeli elettori furibondi per le sue calate di braghe ed i continui voltafaccia.

I fedeli dello Stivale erano così irritati dalle indecisioni e dalla vigliaccheria di Vigilio in ordine alla questione (cretina) della doppia persona/natura di Cristo, che occorse l'elezione di un nuovo papa ed il lungo lavoro diplomatico di Pelagio I (che si servì anche di operazioni militari per convincere i vescovi) per rappacificare le diverse diocesi italiane.

Tutto questo lungo discorso solo per dimostrare che, nel periodo del Basso/Medio Medioevo, il Concilio era superiore al pontefice in maniera inequivoca. Solo successive falsificazioni ed alterazioni della documentazione disponibile (parte della quale venne distrutta dalla Chiesa) portarono ad una diversa valutazione del valore delle due entità (papa e concilio) in discussione.

Un'altro caso di papa condannato per eresia è quello di Onorio (625-638), che ridicolizzò la teoria delle "due volontà" di Cristo (problema connesso con le "due nature",teoria stabilita nel corso del Concilio di Calcedonia) ,senza tuttavia avere il tempo necessario per spiegare la ragione del suo dissenso (morì prima) , Circa quarant'anni dopo la morte venne stigmatizzato come Monotelita e condannato per eresia dal VI° Concilio Generale (680-681). Leone II, eletto papa nel 682, confermò la condanna di Onorio dicendo:"Onorio cercò, con profano inganno, di sovvertire la fede immacolata".

Insomma, non si può proprio dire che i papi avessero le idee chiare.


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