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VENTI SECOLI DI PAPATO

L'inevitabile Riforma

(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)

Poco dopo il Borgia (nell'intervallo ci fu Pio III) salì sul trono papale Giulio II, uno degli uomini più rimarcabili della storia. Era un francescano genovese, alto, di bella presenza e sifilitico. Pagò per essere eletto centinaia di migliaia di ducati e, subito dopo, decretò che chiunque corrompesse nel corso di un Conclave doveva essere deposto.
Uomo atletico, egli portava sempre con se un bastone con il quale colpiva chiunque gli rompesse le scatole. La religione per lui non era neanche un hobby e la sua quaresima consisteva in pranzi con trote, lamprede, tonno ed il miglior caviale.
Viene ricordato anche come un patrono delle arti e l'essere riuscito a convincere Michelangelo a produrre le decorazioni della Cappella Sistina va sicuramente a suo merito (Michelangelo rifiutò il primo incarico e, dopo essere fuggito a Firenze, accettò solo nel 1508, due anni dopo e soltanto perché Giulio II lo costrinse).
Probabilmente Michelangelo non amava particolarmente dipingere e , ritenendosi uno scultore, pensava che in un opera del genere non avrebbe potuto esprimersi al meglio. Persino dalle "ricevute" da lui redatte traspare questa sua opinione: "Io, Michelangelo Buonarroti, scultore , ho ricevuto 500 ducati in acconto....per dipingere la volta della Cappella Sistina" In quattro anni l'artista riempì quasi 500 metri quadri di volta con oltre 300 figure.Lo stare sempre disteso gli fece venire il gozzo, gli irrigidì la spina dorsale e la sua barba si fuse con i peli del torace.
La sua opera creò un nuovo Vaticano.

Giulio però amava la guerra ancora più dell'arte e gli piaceva condurla personalmente. Era un ottimo stratega e, malgrado fosse così consumato dalla sifilide da non poter offrire il piede da baciare "quia totus erat ex morbo gallico ulcerosus", andava a cavallo in armatura guidando il suo esercito una volta tanto non per la famiglia ma per il papato. Sembra fosse sua l'espressione, nel corso dell'assedio di Morandola, allora in mani francesi, "Vediamo chi ha le balle più grosse, se il re di Francia o il papa". E non si riferiva alle palle di cannone.
Era, peraltro, anche un donnaiolo impenitente (ancora da cardinale aveva già avuto tre figlie)

La sua irritazione per non ricevere il richiesto supporto nelle campagne militari lo condusse a preparare una Bolla contro Luigi XII di Francia, nella quale lo privava del regno sostituendolo con il pio Enrico VIII (allora soprannominato "defensor fidei", ma cambiò completamente parere quando gli proibirono di divorziare) d'Inghilterra, che fortunatamente la morte gli impedì di pubblicare.
Probabilmente la sua Bolla avrebbe reso protestante anche la Francia, come poi avvenne con l'inghilterra.
Giulio II, alias Giuliano della Rovere, morì nel 1513.

Alla nuova elezione il cardinal Farnese corse fuori dal conclave urlando a squarciagola:"Palle! Palle!". Era il riferimento ai "palli" dello stemma de'Medici. Sembra che fossero tutti stupefatti, perché era una scelta imprevista.
Giovanni de Medici aveva solo 38 anni ed essere figlio di Lorenzo il magnifico e di una Orsini doveva essere stato un vantaggio non da poco.
A sette anni, epoca della sua prima comunione, venne fatto abate. A otto il Re di Francia lo volle arcivescovo di Aix en Provence; fortunatamente qualcuno controllò e riscontrò che c'era già un arcivescovo ad Aix. Per compensazione il Re lo fece priore di Chartres. A undici diventò abate di Monte Cassino. A tredici anni divenne il più giovane cardinale di ogni epoca, pur non eguagliando il primato di Benedetto IX, che diventò papa ad undici anni.

Persino Innocenzo VIII, che non era di mentalità ristretta, ebbe degli scrupoli a portarlo nel Sacro Collegio prima dei vent'anni e pretese che trascorresse tre anni di prova apprendendo teologia e canone ecclesiastico.

All'epoca della sua elezione Giovanni "faccia di pasta" era grasso, miope con gli occhi a palla e, per ragioni all'inizio non ben chiare, casto. Non aveva ne amanti ne "nipoti" ( o bastardi). La ragione era probabilmente la sua omosessualità. Guicciardini afferma che il papa era eccessivamente dedito ai piaceri della carne, specialmente a quelli che, per decenza, non possono essere menzionati.

Quando il Concilio iniziò Giovanni era malato e dovette esserVi trasportato in barella, cosa che portò alle stelle le sue possibilità di nomina. Gli elettori avevano anche altre ragioni per votarlo: egli soffriva di ulcere croniche sulla schiena ed i frequenti interventi chirurgici (per la loro capacità infettiva) avrebbero dovuto mandarlo all'altro mondo quanto prima. Malgrado tutto ciò, Leone era davvero un carattere brillante e vivace. Le sue prime parole come papa furono dirette a Giulio de Medici, suo cugino illegittimo:"Ora posso veramente divertirmi."Toltosi il cappello cardinalizio lo passò al cugino con le parole:"Per te, cugino mio" e si mise la tiara papale (Tra l'altro Giulio ne fece buon uso diventando papa con il nome di Clemente VII, uno dei papi più disastrosi).

Invece di dar via tutto per seguire Cristo, Leone prese per se tutto ciò che poteva in nome di Cristo. Giocatore incallito e spendaccione si diceva obbedisse a Gesù in una cosa sola: nel non darsi pensiero del domani. Era l'unico tipo di papa con cui i romani si sentivano a proprio agio. Spendeva tutto con loro, invece di spremerli come limoni per fare stupide guerre, come quel maniaco di Giulio II.

Era un epoca di sfarzo senza paragone. Il Cardinal Cornero dava pranzi di 65 portate , ciascuna delle quali era composta da tre differenti piatti. Durante il Carnevale si trascorrevano giornate intere gozzovigliando, assistendo a spettacoli e facendo balli mascherati.
Leone stipendiava direttamente 683 cortigiani, molti giullari, un orchestra, un teatro permanente (specializzato in Rabelais) e pagava il mantenimento di un gran numero di animali selvaggi, dei quali il suo preferito era un elefante bianco, donatogli da Re Emanuele del Portogallo.
Leone manteneva alla Magliana una residenza di caccia che non aveva nulla da invidiare a Castel Gandolfo e spendeva cifre tali (prendendole spesso in prestito da banchieri ad interessi usurari del 40%) che tutti i bordelli di Roma (c'erano 7.000 prostitute registrate su di una popolazione di 50.000 persone) non riuscivano a rendergli abbastanza da andare in pari. La sifilide , come disse appunto il sifilitico Benvenuto Cellini, "era frequentissima tra i preti".
Per fare più soldi Leone si inventò nuove cariche da vendere, quadruplicandole rispetto a quelle esistenti con Sisto IV. Era sua consuetudine metterle all'asta per ricavarne di più. Ci furono anche tentativi di assassinio da parte di alcuni cardinali che lo volevano morto (v. Cardinal Petrucci di Siena, attraverso l'opera del medico Battista de Vercelli), andati regolarmente a monte. Nel 1517 arrivò al punto di formalizzare la vendita delle indulgenze, divulgando addirittura un apposito tariffario, la TAXA CAMARAE , che sembrano concedere indulto e perdono per quasi ogni immaginabile crimine.

Nel corso del suo papato, e sempre per ragioni di soldi, scoppiò il "casino tedesco". La vendita al Principe Alberto di Hohenzollern, già vescovo di Magdeburgo e Halbertstadt, delle diocesi di Mainz e della Primazia Tedesca, contro un fortissimo prestito da parte dei banchieri Fuggers, portò Leone ad elaborare un piano di rientro per il debito contratto da Alberto con lui, mediante un'ulteriore vendita di indulgenze. L'incarico venne materialmente affidato al domenicano Tetzel (che ne traeva il suo personale guadagno) che , venditore abilissimo, riusciva a smerciare indulgenze per tutto (pare che qualcuno abbia venduto anche un'indulgenza così potente da rimettere i peccati persino a chi avesse violentato la Vergine Maria).

L'eccesso vergognoso portò Lutero a reagire inchiodando le sue "Novantacinque Tesi sulle Indulgenze" sulle grandi porte del castello di Alberto a Wittenberg.
Martin Lutero, d'altra parte, non era certo il primo a criticare il papato. A parte tutti gli episodi precedenti è da ricordare il rifiuto inglese di ospitare Innocenzo IV (1243-54, allora in fuga da Federico II), giustificato dagli Inglesi "perché la dolce inghilterra non avrebbe potuto sopportare il tanfo della Corte papale." e l'icredibile lettera di ringraziamento di Innocenzo (materialmente scritta dal cardinal Hugo) al popolo di Lione (che lo aveva invece ospitato) : Durante il nostro soggiorno nella vostra città, noi (la Curia Romana), siamo stati di caritevole assistenza per voi. Al nostro arrivo c'erano soltanto tre o quattro sorelle dell'amore, mentre alla nostra partenza vi abbiamo lasciato , per così dire, un bordello che si estende da una parte all'altra della città (dalla porta occidentale alla porta orientale)."

Nello stesso secolo (milleduecento) San Bonaventura, cardinale e generale dei francescani, paragonò Roma alla meretrice dell'Apocalisse, anticipando Lutero di trecento anni. Questa Puttana, egli disse, rende i Re e le nazioni ubbriache con la sua puttanaggine. Dichiarò anche di non aver trovato in Roma altro che lussuria e simonia, persino nei gradi più alti della Chiesa. Roma corrompe i prelati, che corrompono i preti, che corrompono il popolo.
Dante spedì all'inferno papa dopo papa e torme di prelati.
Il vescovo Alvaro Pelayo, aiuto papale ad Avignone, suggerì che la Santa Sede avesse infettato con il veleno dell'avarizia l'intera chiesa:"Se il papa si comporta così, dice il popolo, perché noi dobbiamo fare diversamente?"
In un giorno normale Giovanni XXII, capo di Pelayo, scomunicò un patriarca,cinque arcivescovi, trenta vescovi e quarantacinque abati. Il loro crimine era di essere in ritardo sulle tasse da pagare al papa. Il Machiavelli scrisse (più o meno, è una citazione a memoria) :"Gli Italiani hanno un gran debito verso la Chiesa Romana ed il suo Clero. Attraverso il loro esempio, noi abbiamo perso la vera religione e siamo diventati completi atei. Prendetela come una regola, più vicina una nazione è a Roma, meno religione c'è."
Caterina da Siena disse a Gregorio XI che non aveva bisogno di visitare la Corte papale per sentirne l'odore: "La puzza della Curia, Santità, ha da lungo tempo raggiunto la mia città."
Una delle probabili ragioni dell'enorme numero di prostitute in Roma era che in nessun altra città c'era un maggior numero di celibi. I conventi erano spesso anche bordelli e le donne portavano con se un coltello, quando andavano a confessarsi, per proteggersi dal confessore. Erasmo (sedicesimo secolo) scrisse una storiella nella quale Giulio II cerca di entrare in paradiso ed incontra San Pietro, che non lo riconosce. Giulio si leva l'elmetto e mostra la tiara, ma San Pietro è sempre più sospettoso. Finalmente Giulio alza le chiavi papali sotto il naso di San Pietro. L'apostolo le esamina e scuote la testa dicendo:"mi spiace , ma qui in paradiso non vanno bene per nessuna porta."

Nel 1520 Lutero viene scomunicato da papa Leone. Lutero si appella al Concilio Generale che per venticinque critici anni sia il papa sia la Curia si rifiutano di convocare.
Solo nel 1545 Paolo III (soprannominato "il cardinal sottana"), su pressione del Contarini e di altri uomini di fede, convocherà il Concilio di Trento, che pur salvando la Chiesa , facendo emergere individualità di spicco nella fede e trasformandone i criteri etici, concretizzò lo scisma in atto.

Trento confermò l'enorme potere papale, a scapito dell'indipendenza dei vescovi, e divise definitivamente cattolici e protestanti. Una delle conseguenze fu che per trecento anni non si tennero altri Concili.
La cosa curiosa è che Lutero non aveva inizialmente l'intenzione di uscire dalla Chiesa, ma quando un papa cretino come Leone X lo scomunicò anche per aver detto:"bruciare gli eretici è contro la volontà dello Spirito Santo", non aveva altre alternative ragionevoli, essendo quello che era. Calvino seguì poco dopo, introducendo la riforma in Ginevra nel 1541. Il protestantesimo si difuse a macchia d'olio senza che la Curia Romana si rendesse chiaramente conto delle conseguenze del proprio atteggiamento.

Nel 1555 apparve un nuovo pontefice, in un Cristianesimo che stava virtualmente esplodendo, più cieco e più sordo dei precedenti e con l'idiota convinzione di essere Gregorio VII redivivo.

Era quel coglione di Paolo IV.


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