15/05/2004 |
e se Oriana...
avesse ragione? comprendo le ragione etiche di una difesa ad oltranza di quella che (con certa presunzione) definiamo "civiltà occidentale", nei suoi aspetti di tolleranza, accettazione e rispetto per il "diverso" come nei suoi tentativi di riduzione dello stesso "diverso" in termini compatibili con la nostra visione della realtà. Tutto ciò mediato da un comportamento regolato e modulato da limiti ben precisi, al di fuori dei quali si configurano gravi violazioni della norma e delle regole etiche (sempre definite come tali soltanto da noi). Ma la storia sembra insegnare che, nel breve periodo, questa "gestione della relazione" è "perdente" per definizione. Ed a nulla o a poco vale , per coloro che vivono in quel breve periodo, il fatto che i loro discendenti fruiranno di un qualche ritorno di benefici.
Posso nutrire il massimo rispetto per l'altrui vita, ma se al mio ipotetico antagonista della vita (mia o anche sua) non interessa affatto, in qualunque eventuale controversia, pur con tutte le agevolazioni fornitemi da un ipotetica superiorità etica, tecnologica o culturale (se mai esiste qualcosa del genere) il sottoscritto perderà. Questo è quanto insegna la storia e continua ad insegnare. Solo quando prenderò coscienza del fatto che la mia sopravvivenza dipende dall'eliminazione "materiale" dell'antagonista (e non parlo di eliminazione fisica, anche lo strozzamento del suo potenziale spesso è sufficiente) le mie possibilità aumenteranno. E solo quando mi sarò reso conto che soltanto la distruzione e la devastazione su larga scala, non graduata da considerazioni etiche ma soltanto da valutazioni militari, raggiungono, nell'antagonista, il coefficiente di disperazione e di orrore sufficiente a farlo desistere potrò considerare l'ipotesi di permettergli di sopravvivere.
Per quanto noi si possa continuare a raccontarci (tra noi) balle, questa sembra essere (sempre nel breve periodo) la situazione ed i nostri tentennamenti e le nostre beghe politiche interne spesso hanno avuto responsabilità primarie nella creazione di coloro che, a posteriori, la nostra cultura ha definito "mostri".
Hitler, Stalin, Pol Pot, Ho-chi-min, Saddam, Arafat, Komeini, Osama e tutti gli altri citabili sono una nostra specifica responsabilità. Li abbiamo, talvolta, addirittura irragionevolmente creati o abbiamo permesso che montassero e crescessero sino a trasformarsi in una minaccia mortale per la nostra stessa esistenza. E per ragioni il più delle volte inconsistenti.
La prossima nostra creatura è al-Sadr (frutto della pochezza delle nostre capacità predittive e del magma di contraddizioni prodotto da interessi economici e politici di singole nazioni di quello che impropriamente viene chiamato "occidente"), che trasformerà l'Iraq non soltanto in una mostruosa macchina di distruzione e di dolore (anche per noi, temo) mossa dal fanatismo assassino, ma anche in un centro di coagulazione della perversa etica radicale dell'Islam (una roba che, fortunatamente, non è riuscita ad Arafat, a Gheddafi o a Komeini, ma potrebbe ora trovare le condizioni di sviluppo ottimali) per la quale sono "normali" l'eliminazione fisica degli infedeli, dovunque si trovino, la sopraffazione delle donne e delle bambine e la delazione, la denuncia e la condanna capitale degli eventuali dissenzienti.
Noi dovremmo ben saperlo, perchè lo stesso abbiamo fatto in tempi neanche troppo lontani storicamente.
Ma sembra ce lo siamo dimenticato!
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