26/04/2001 |
ancora
sulle fasce orarie
Torno a esaminare la fattispecie delle fascie orarie di reperibilità, relative ai dipendenti in malattia.
Per sapere quello che ne penso non avete che tornare alla pagina "opinioni" e cercare la mia precedente breve chiacchierata in merito alla questione.
Quello di nuovo che
invece sono venuto a scoprire è che esiste una precisa connivenza (tale
la definisco in quanto non pare sia normativamente previsto richiedere che la
visita venga effettuata in ore e giorni stabiliti dal datore di lavoro
La prassi sembrerebbe
funzionare in questo modo. L'azienda
Tale proceduta, di per se meschina e cretina,
non interferisce quindi soltanto sul lavoratore "malato", ma anche
sui suoi familiari che, se lavoratori anch'essi, sono costretti a subire una
parziale privazione della libertà (intesa quale libertà di movimento
sul territorio e legata ai rapporti interfamiliari) che ha le tutte le caratteristiche
della incostituzionalità.
In taluni casi l'azienda datrice di lavoro (nella specie un'azienda di credito
Nell'ipotesi che venga riscontrata un'assenza alla
visita domiciliare ed una giustificazione menzognera del dipendente , i sospetti
sulla "fedeltà" del lavoratore giustificano giuridicamente
un'indagine espressamente vietata dalla legge se effettuata a fini sanitari
(astuto, no?).
Occorre altresì ricordare che ai dipendenti malati spetta, in genere, la cosiddetta "indennità di malattia", anticipata dal datore di lavoro per conto dell'Inps, ma, nel caso di talune grandi aziende (e di gran parte delle imprese bancarie), al dipendente non spetta alcuna "indennità", in quanto tale, corrisposta dall'Ente Previdenziale. Ai dipendenti di tali aziende viene semplicemente riconosciuta, contrattualmente, la piena retribuzione per tutto il periodo di malattia, sino a decorrenza del cosiddetto periodo di comporto.
Nel caso quindi di dipendenti di azienda di credito (per esempio, appartenenti al sistema "Casse"), erogatori della retribuzione e controllori dello stato di malattia non dovrebbero in alcun modo coincidere, essendo a carico del datore di lavoro lo stipendio del dipendente "in malattia" ed a carico dell'Inps il controllo della "malattia" medesima.
Peraltro , dato per scontato che le famose "visite di controllo" hanno l'unico dichiarato scopo di "verificare" che il dipendente sia effettivamente "malato", con l'appendice dell'obbligo di tenere un comportamento utile alla guarigione (che costituisce l'idiota ragione delle varie rimbambite sentenze a sfavore di dipendenti risultati assenti alle visite domiciliari, anche se presentatisi poi, regolarmente, malati, alle visite ambulatoriali. Manco il dipendente non potesse fare l'ubbriacone sino a cinque minuti prima delle dieci della mattina o delle cinque del pomeriggio o fosse ancora valida e pregnante la tesi medievale che dei malanni siano causa preminente i "miasmi" costituiti dall'aria aperta), sembra non avere gran senso il sanzionare con gli arresti domiciliari un disgraziato che ha già la sventura di trovarsi in un cattivo stato di salute.
E' bene anche ricordare che , assente alla visita, il dipendente malato ha l'obbligo di presentarsi il giorno successivo, od in altra data indicata nella convocazione lasciata dal medico controllore, alla visita ambulatoriale, che ne riscontrerà effettivamente lo stato.
Lo strano di tutta questa faccenda è che anche quando il dipendente si presenta alla visita ambulatoriale e risulta appropriatamente malato , se non ha una valida giustificazione rituale (visita urgente dal medico o ricovero) per l'assenza alla visita domiciliare, viene lo stesso sanzionato pur se effettivamente malato.
In una esemplare sentenza di Cassazione (n. 1942 del 10/03/1990) si dice "Il ricorrente istituto (INPS) non considera pero' il carattere eccezionale della limitazione alla libertà di locomozione imposta dal regime delle c.d. fasce orarie di reperibilità non tenendo conto che, una volta accertato lo stato di salute (rectius la malattia del lavoratore) , la persistenza dell'obbligo suddetto si tradurrebbe in una imposizione di un riposo orario forzato quotidiano, che potrebbe in ipotesi non essere compatibile o comunque non avrebbe ragione riguardo a determinate forme patologiche la cui terapia potrebbe richiedere ad esempio l'allontanamento dal luogo abituale di residenza per località più consone alle condizioni patologiche del soggetto. La limitazione potrebbe incidere cioé sui criteri e sui metodi di cura della malattia i tempi ed i luoghi di essa."
La sentenza prosegue con considerazioni sulla tutela del lavoratore e sulla validità di un giudizio prognostico effettuato dagli organi competenti, rigettando il ricorso dell'Inps.
Questa saggia sentenza sembrerebbe comportare, una volta acclarato lo stato di malattia e l'eventuale contemporanea inidoneità al lavoro del dipendente da parte di chi di dovere, l'impossibilità di costringere il malato al rispetto di forzati periodi di prigione a domicilio.
Nulla, d'altra parte, vieta all'Inps o al datore di lavoro di richiedere una apposita visita "di idoneità" che riscontri ulteriormente, in data concordata, lo stato di malattia o di salute o di idoneità al lavoro del dipendente.
Quanto sopra detto porta a ritenere che una volta richiesta una visita di idoneità, che abbia riscontrato lo stato di malattia, nulla impedisca di controllare ulteriormente e periodicamente le condizioni del malato, in assenza però delle tutele di legge, e quindi di poteri sanzionatori, in ordine alle assenze alle visite domiciliari.
Insomma, se il dipendente è dichiaratamente malato, nessuna gratuita costrizione dovrebbe, per nessuna ragione o circostanza, essergli imposta.
Questo è quanto dovrebbe verificarsi in una società civile e rispettosa della persona.
La realtà risulta assai diversa. La confusione mentale dei giudici, la capziosità e la protervia delle aziende, la vergognosa, informale, connivenza dell'Ente Previdenziale, conducono sovente a fattispecie/controversie che contribuiscono a peggiorare le condizioni dei "malati", spesso prolungando e rendendo cronici stati di malattia, che vanno a concludersi nel superamento del comporto con successivo licenziamento.
In alcuni casi la
licenza concessa dai tribunali, in sede giurisdizionale, alle aziende è
arrivata al punto da permettere loro l'utilizzo di investigazioni, nell'ambito
della privacy dei dipendenti, con le giustificazioni più strane e persino
al di fuori dell'ambito dell'orario di lavoro concordato (interferendo quindi
con quanto di più personale un essere umano possieda: la propria vità
privata). In altri casi (dipendenti malati di neoplasie croniche) tale protervia
è arrivata al punto da considerare ebetemente quali elementi inibenti
la guarigione le assenze alle visite di controllo. Ragionando a contrariis si
dovrebbe credere che restando a domicilio dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19
un malato di cancro guarisca miracolosamente dalla malattia, arrivando a domandarsi,
con qualche tristo sarcasmo, come mai questo astuto "protocollo terapeutico"
non venga formalmente adottato in tutti gli IST della nazione.
Da ultimo è
bene ricordare che la casistica giurisprudenziale rappresenta la punta di un
iceberg di una enorme quantità di comportamenti "eticamente"
vessatori, considerando che, per quanto attiene al mancato rispetto delle "fasce
orarie", il dipendente viene di norma abbandonato dalle organizzazioni
sindacali e di categoria (che sembrano anch'esse avere ragioni di connivenza
con l'Ente Previdenziale o ritengono improprio "giocarsi" su singole
personalissime fattispecie), la qual cosa conduce spesso a dolorosi compromessi
che trasformano (quando va bene) il licenziamento per giusta causa in licenziamento
per giustificato motivo, Per l'azienda , in ogni caso, un risultato confortevole
e soddisfacente ottenuto con poco sforzo.
In conclusione mi sembra d'obbligo riconfermare le considerazioni già fatte su questo stupido ed inappropriato istituto di controllo (le fascie orarie), male applicato e male utilizzato. Trasformatosi da strumento di riscontro e di verifica (in un INPS che appare assolutamente incapace di controllare i propri conti e teso all'assorbimento dei fondi raccolti con una corretta gestione dalle Casse di Previdenza professionali) in un perverso e pervicace meccanismo di vessazione e minaccia.
opinioni
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