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04/04/2003

 

strano demagogico pacifismo...

Nei miei andirivieni internettiani mi capita spesso di visitare forum di discussione di varie estrazioni politiche (nel caso di specie mi riferisco alla guerra in Iraq) e continuo a trovare curioso che vengano "postate" (mi sembra si dica così) un rilevante numero di dichiarazioni di principio, essenzialmente ideologiche e spesso confortate da citazioni di bravissime persone assolutamente fuori contesto (p.e. il Tommaseo) o di assassini dichiarati per la "causa" (p.e. il Ché), senza, per altro, produrre una sola proposta realisticamente praticabile di qualche peso.
Pur considerando che ciascuno dei partecipanti ambisca anzitutto il definire la propria posizione (magari invitando i lettori a bruciare beni e persone americane), immagino anche che gli scriventi ipotizzino che le parole siano necessarie e sufficienti a produrre cambiamenti.
Naturalmente questo talvolta succede (o sembra succedere), però la storia parrebbe dimostrare il contrario o, meglio, dimostrare l'insufficienza delle sole parole.
Apparentemente, usando una chiave di interpretazione non ideologica ma fattuale (che brutta parola), si potrebbe anche dimostrare come le varie ideologie (inerenti alla gestione dello stato e del potere) che si sono susseguite nelle diverse occasioni epocali non risultino aver preceduto le spinte o le pulsioni al "cambiamento", in genere conseguenti ad innovazioni di varia natura. Di certo hanno avuto voce in capitolo nell'indirizzarle, a volte modificandone parzialmente il percorso, ma finendo, quasi sistematicamente, per imbucarsi in quelli che potrebbero considerarsi "vicoli ciechi" dell'evoluzione sociale (sto parlando di sistemi di governo).
Persino la cosiddetta democrazia ha seguito il medesimo percorso, ottenendo qualche successo permanente solo con la concorrenza di altri fattori (quali, p.e., la stampa e la sua rapida evoluzione; la, sia pur parziale, libertà d'informazione, le tecnologie avanzate, etc., etc.).
D'altronde, per saltare di palo in frasca, mi auguro non si ritenga veramente che l'occidente "sfrutti" il 90% delle risorse del pianeta, mentre il restante 90% della popolazione mondiale se ne sta quietamente con le mani in mano.
Non è così e non potrebbe nemmeno esserlo.
Valutazioni di questo genere, oltre che false, risultano strettamente legate ad alcune specifiche "risorse", considerate tali soltanto nei paesi tecnologicamente avanzati e commerciabili soltanto con essi. Altre risorse preziose per tutti, come acqua o cibo, quasi mai dipendono o sono in relazione con aggressivi atteggiamenti commerciali del ricco Occàso.
Per altro il cosiddetto capitalismo occidentale offre, generalmente, condizioni di lavoro particolarmente favorevoli (rispetto a quelle locali) alla forza lavoro indigena e paga le materie prime (acquistate dai potentati locali, secondo i nostri simpatici pacifisti noglobal sicuramente più evoluti, dal punto di vista del benessere sociale, delle democrazie occidentali) a costi che questi accettano allegramente di incassare. Certo potrebbe far di meglio, e nessuno lo può negare, ma potrebbe anche far di peggio (e, forse ed in qualche occasione, lo ha anche fatto).
Con ridotti sacrifici, il precitato capitalismo occidentale sarebbe perfettamente in grado di farne a meno, sopravvivendo più o meno autarchicamente e trovando nell'utilizzo di altre tecnologie metodi e sistemi per supplire alle eventuali terribili privazioni.
La vera questione è che questa fattispecie non appare praticamente possibile nè plausibile, in quanto queste popolazioni, in perpetua guerra ed in perpetua fame (e non solo per altrui colpa), ritengono di non avere, al fine di sopravvivere, altra scelta rapida e ragionevole oltre a quella di emigrare in un occidente del quale non condividono il percorso educativo ed i principi fondanti del sistema (opzione che in passato abbiamo adottato anche noi, insieme ad irlandesi, polacchi, francesi, tedeschi, russi, messicani e cubani, con le ondate migratorie nel nuovo mondo degli ultimi due secoli. Ma si trattava di popolazioni che condividevano parzialmente la propria storia, molti punti di vista e numerose convinzioni politiche).
E, probabilmente, la nostra colpa, se di colpa si può parlare (visto che sono trascorsi soltanto due o tre secoli dal momento in cui abbiamo appreso come migliorare tenore di vita e condizioni di salute comuni, come adottare decisioni politiche, come ridistribuire benessere e non siamo nemmeno noi così sicuri di trovarci in una situazione stabile e definitiva) potrebbe essere soltanto quella di disinteressarci del loro (paesi non "democratici") sistema politico e sociale, evitando accuratamente di esportare, anche con la forza se necessario, l'unica struttura di controllo e verifica che pare permetterci di sopravvivere quasi tutti in maniera discreta.
Credo che, nelle attuali circostanze, ragionare in altro modo sarebbe in grado di comportare la fatale scomparsa della civiltà occidentale, sia pur soltanto per ragioni demografiche (visto l'incremento di popolazione dei paesi in via di sviluppo. Bisognerebbe fare un monumento alla Cina, anche se maggiore inquinatore del pianeta, ed all'India per i limiti alle nascite che hanno cominciato ad imporre), a favore di altre culture nelle quali libertà e rispetto individuale hanno il considerevole peso di una cacca di mosca, oppure possono venire fruite quando ce ne andiamo all'altro mondo (ed in un altro mondo, magari il meraviglioso "giardino delle delizie" se non ci andasse il nostro paradiso).
Visto che proprio per evitare questo genere di rischio ci consideriamo paesi sostanzialmente laici (anche il nostro monoteismo ci ha gestito similmente per diciotto secoli) credo sarebbe giusto farci, freddamente, un pensierino sopra.
Tutto ciò considerando anche l'attuale posizione del pontefice e della nostra Chiesa, sul cui pacifismo forse sarebbe il caso di esercitare la propria critica, rilevando la sostanziale contiguità religiosa tra cattolicesimo ed islamismo e l'apertura di un nuovo fronte di divaricazione. E, questa volta, non tra occidente ed oriente, ma tra posizioni essenzialmente fideistiche (stati confessionali) e laici, ricordando che i richiami al divino degli americani hanno lo stesso valore del motto "in god we trust" della banconota da un dollaro: uno zero spaccato, salvo che non si riferiscano effettivamente al dio dollaro.
Per la Chiesa, in sostanza, sembrerebbe sempre più accettabile un paese profondamente religioso, e magari retto da una teocrazia, piuttosto che una qualsivoglia democrazia laica (se osserviamo con attenzione, salvo alcuni casi che hanno una spiegazione contestuale, la maggior parte degli scontri religiosi si verificano in piccole nazioni pseudo-democratiche nelle quali il governo, laico, è , casualmente, appoggiato dalla parte cattolica della popolazione).
In definitiva nulla ci vieta di optare per una sorta di suicidio collettivo, calandoci collettivamente le brache.
In fondo cosa ce ne frega dei nostri diretti discendenti.
Viva quel cazzone di J.J.Rousseau, viva la sana vita in campagna dall'alba al tramonto, lavorando come bestie (figurato), leggendo a lume di candela (se troviamo le api per la cera), pagando le decime (quando va bene e sarebbe sempre meno di quanto paghiamo adesso) e facendoci stuprare, neanche tanto simbolicamente, dai signorotti locali (magari anche immigrati di altre popolazioni. In fondo, per noi italiani, non sarebbe poi una gran novità).
Abbasso il maledetto progresso che permette al pelato fondotintato di diventare P.d.C., evitando l'ipotetica galera.
Probabilmente sbaglio o sono invecchiato troppo, ma ho già detto che ci sono paci più orribili della peggiore delle guerre e, magari, il gusto della libertà in questa vita mi ha reso impossibile rinunciare ad essa a favore di tizi per cui la vita altrui è soltanto un ponte per il giardino delle delizie. Spero si diano una calmata, più o meno forzatamente.
In caso contrario non vedrei con particolare sfavore il dar loro un mano per realizzare i loro sogni (il raggiungimento del famoso al-janna).

opinioni

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