11/12/2000 |
Scusate se rompo con gli affari miei, ma qualche lamento lo devo pur fare.
Certo...tutto è
un fatto personale. Ma questo è molto personale: dopo ventisei
anni di lavoro, dieci anni di cancro, due figli, una moglie (anche di questi
Vi do i tempi, 24, 26, 28/35, e parlo di anni), mi hanno licenziato in tronco
per giusta causa, per essere stato assente nelle fasce orarie durante una visita
fiscale (senza stipendio e senza preavviso). Ora, fosse stata la seconda volta
avrei potuto, non dico capire, ma almeno ragionare. Non avessi fornito una giustificazione
dell'assenza avrei ipotizzato una causa, implausibile ma pur sempre causa.
No! hanno considerato fuorviante ed ingannevole la giustificazione.
Mai un rimprovero,
mai una sanzione, note di qualfica sempre positive (nelle aziende bancarie e
parabancarie si usano le "note" per valutare i dipendenti).
Credo che sia vero che per comprendere davvero un evento o un'esperienza li
devi vivere.
Così è
per il tumore, e, penso, per tutte le altre patologie nelle quali il margine
di sopravvivenza è basso.
Tra i neoplasici esiste una specie di "club", di "circolo interno",
in seguito al quale solo tra loro i malati riescono a dare voce alla propria
esperienza, fidando in una quasi totale comprensione dell'interlocutore. Siamo
tutti diversi ed affrontiamo la vita differentemente, ma questo non costituisce
un'ostacolo o un limite. Persino quelli che, come nel mio caso, ritengono di
non avere di che lamentarsi, afferrano al volo sensazioni, dolori e crucci del
compagno ammalato. Capiscono e conoscono le traversie delle spesso umilianti
terapie e le terrificanti difficoltà comportate dall'affrontare ogni
giorni quelli che ami e ti amano.
Qualcosa del genere, sia pure in tono minore, affronti quando le certezze di una vita "regolare" vengono frantumate.
Sei vecchio, più o meno malato. Hai lottato e tirato il carro come una bestia per anni, hai sofferto, ti sei umiliato, hai obbedito ad ordini ed a persone cretine. E, all'improvviso, tutta la "sicurezza" per cui ti sei sacrificato viene vanificata in un attimo.
Ragionandoci sopra devo confessare di ritenere responsabile anche la nostra cultura del "sociale". La ricerca del posto "fisso", del lavoro "sicuro" aggravano pesantemente gli effetti sempre traumatici di un evento che ha le caratteristiche di un "rifiuto" sociale.
Ora che lo shock si sta riducendo (è successo due settimane addietro), trovo conforto nell'esser stato in grado di fare il "dipendente" ed il "professionista" insieme per vent'anni, lavorando sotto padrone (la Banca) dalle otto alle diciassette e per me stesso dalle diciotto alle ventiquattro. Certo non ho paura di rimettermi a fare la professione (commercialista), anche se avevo chiuso da un paio d'anni per le mie condizioni fisiche. Sarà un bel culo! ma, d'altra parte, devo già ritenermi fortunato di avere titoli e qualifiche necessarie sottomano, anche se mi costerà qualche anno di vita (altri, meno fortunati, ci possono lasciare addirittura la pelle).
Vabbe! cose che possono capitare a tutti, direte Voi. Vero, ma il comportamento punito non era farina del mio sacco, ma del loro (della Banca). Loro avevano suggerito come ovviare alle carenze contrattuali, rimediando ad una interposizione di lavoro che un comportamento giuridicamente equo avrebbe potuto punire. Sono stato cacciato per una colpa non mia e questo davvero mi fa incazzare.
E non ho nessuna voglia di aspettare sul fiume il cadavere dei miei nemici (quando passeranno potrebbe già esserci la mia croce piantata sull'argine).
Così gli farò causa, riprenderò a lavorare e cercherò di rovinare loro la vita (nei limiti oggettivi di una vacua legge) prima di essere costretto dal mio male a gettare la spugna.
A Voi lo posso dire:
è stata una maledetta stronzata!
ma ce ne sono di peggiori.....
opinioni
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