(Rurik 
      Spolidoro, 08/10/1946-07/03/2002) 
    
Un nuovo buco nero.....
Un 
  altro maledetto funerale!
  E' morto mio cugino Rurik. Un ottimo cugino, un cugino più giovane di 
  me ed assai probabilmente anche migliore.
  Sono andato al funerale in treno, da Genova a Pinerolo, rifiutandomi con le 
  più astruse giustificazioni di viaggiare in macchina con zii o cugini 
  vari, che con tenero affetto parentale si erano offerti di portarmi (ma tormentato 
  comunque dalle telefonate della Strega, dell'Anaconda e dell'Orso che controllavano 
  a distanza la mia salute). 
  Volevo andare da solo e volevo pensare.
Tutto 
  questo, sorvolando con squallido egoismo sul dolore di mia zia Livia e dei miei 
  nipoti Ryan e Ronnie (la madre ed i figli di mio cugino), mi fa incazzare davvero 
  ammorte!
Rurik era un cugino grande in tutto: cento e rotti chili di gigante barbuto, intelligente, capriccioso ma prudente, amante della vita ma rispettoso dei suoi doveri, gran cavallerizzo, manager abile e capace.
Ricco di grandi doti intellettuali ed umane e con superbi, 
  inarrestabili appetiti ma, come molti piemontesi, dotato di una scelta di tempo, 
  di una misura e di un senso del limite che lo rendevano per me speciale.
 Per me, che sono un campionario di carenze, i suoi pochi difetti 
  erano sopraffatti dai 
  molti pregi e dall'affetto reciproco tra due stronzetti che erano praticamente 
  cresciuti insieme. 
  Apparivano quali piccole ed amabili imperfezioni in un enorme opera d'arte. 
  
  Aveva una mente lucida ed il suo affettuoso "esserci" era per me un 
  consolatorio sostegno.
Non 
  saperlo più presente in questa stramba realtà mi fa sentire parecchio 
  più nudo, assai più debole e non mi piace affatto.
  Mi 
  sento un po' come una sagoma da tiro a segno cui ogni volta con uno sparo strappano 
  un buco e, nel caso di mio cugino, si tratta di un buco molto grosso.
 
  E pensare che persino il suo nome avrebbe potuto essere il mio: quando mio 
  zio Rurik era prigioniero a Gusen quella bella strega della mia nonna paterna, 
  la Mimilì (quattro figli, due mariti ed una caterva di pretendenti), 
  si presentò agitatissima una mattina a mia madre (siamo nei primi del 
  1945) dicendole
 
  :"Flora , ho sognato che mi trovavo in un forno da panettiere ed il fornaio 
  si è girato estraendo dalla bocca del forno un grande pane bianco. Era 
  San Pietro che mi ha dato il pane e mi ha detto < Tieni, dallo a Flora. Questo 
  è Rurik!> . Il sogno vuol dire che Tu aspetti un figlio e che Tuo 
  fratello Rurik è morto." 
Mia 
  madre, che non voleva nemmeno pensare che il suo straordinario ed amato fratello 
  (che aveva cresciuto ed adorato) fosse morto, chiuse la mente persino alla mia 
  uterina esistenza e, quando fu il momento, mi chiamò Marco (nomen omen, 
  dalla radice sanscrita "mar" , colui che spezza, il frantumatore, 
  il rompitore. La stessa radice del dio della guerra, "Marte", e di 
  Martedì). 
  Così il nome di Rurik andò al mio gigantesco cugino, nato sei 
  mesi più tardi e figlio di mio zio Elmyr (uno dei cinque fratelli di 
  mia madre) e di mia zia Livia.
Per qualche tempo , conosciuta questa strana favola da fattucchiere e sciamani, ho persino rimpianto di non aver quel nome ed ho quasi invidiato mio cugino che lo portava con garbo e buon senso.
Ora riconosco che non avrei potuto far meglio di Lui e li rimpiango entrambi: lo zio che ho conosciuto solo attraverso scritti e racconti ed il cugino che stimavo ed amavo come un fratello.
Genova, marzo 2002